Cinema e
 
ROBERTO BENIGNI E’ PINOCCHIO
Anche il sogno può essere realtà: Roberto è Pinocchio o viceversa Pinocchio è Roberto.
Se ne accorse già Fellini, maestro della realtà sognata, grande cultore del libro di Collodi (lo apriva al mattino per leggervi a caso una frase guida come se fosse un testo sacro!) che lo chiamava Pinocchietto sul set de “La voce della luna” ed aveva sperato di farne un film.
Oggi quel sogno è realtà: il film, l’anima che lo sostiene, Pinocchio, i personaggi e persino le sceneggiature sono grandi e meravigliose scatole di sogno che contengono realtà sempre più profonde, ripiegate su se stesse.
Tutto è ribaltato: il reale è figlio del sogno, in esso si rispecchia al punto che non sai più dire quali dei due venga prima, quale abbia avuto origine dall’altro.
Benigni si mantiene fedele al racconto morale di Collodi-Lorenzini, ma ne estrae ed esalta lo spirito anarchico come potente antidoto contro la corruzione dell’animo e l’abbrutimento bestiale. Pinocchio dovrà superare molte prove, piangere, soffrire ed ottemperare a molte regole sociali, la sua crescita sarà difficile ed affannosa ma nel suo cuore rimarrà puro, libero cultore del gioco per il gioco e dell’avventura.
Il Pinocchio di Roberto Benigni è come un paesaggio imprigionato in una bolla di cristallo natalizia: magico, eterno, ripetibile e irripetibile insieme. Qui non c’è spazio per la polvere e le miserie, non si notano malattie e povertà: è come un ricordo bambino, grande e dilatato, un tuffo nell’infanzia…
Un’infanzia che possiamo custodire, amare e coltivare, presente dentro di noi come il lumicino nel ventre del pescecane che tradiva la presenza dell’amato Geppetto. Una presenza rassicurante nel buio del quotidiano. Questo Pinocchio è innamorato della vita, sprizza gioia da tutti i pori, lo affascina ogni creatura e il desiderio di conoscere gli fa credere all’assurdo (il campo dei miracoli). E’ una lettura completamente diversa dal Pinocchio di Luigi Comencini, trasmesso su RaiSat Album, in cui domina la malinconia e l’allegria ha un singhiozzo in gola.
La vita è maestra, Pinocchio viene punito appena trasgredisce ogni regola sociale. Ad esempio egli rifiuta qualsiasi forma di autorità (paterna, scolastica, giuridica) che non è sempre coercitiva ma può essere una guida insostituibile (fuga dalla casa di Geppetto, episodio del teatro dei burattini, cattura da parte dei carabinieri, rifiuto dell’impegno scolastico). Inoltre rifiuta il lavoro come premessa necessaria per il sostentamento, trasposizione letteraria del motto socialista “Chi non lavora non mangia”.
Gli ostacoli che il burattino supera non ci rattristano, ci fanno riflettere. Rallegra e riscalda il cuore vedere che Pinocchio non si arrende e mantiene puro il suo sorriso e lo stupore di fronte alle cose della vita.
Pinocchio vuole crescere e rimanere lo stesso, mentirà dicendo di essere contento quando sarà diventato ragazzo e forse questa e la sua bugia vera perché sappiamo quanto sia dolorosa la nostalgia del nostro tempo bambino.
La fata dai capelli turchini (Nicoletta Braschi) è una mamma affettuosa, moderna perché più che punire le inadempienze di Pinocchio sceglie di farlo imparare attraverso l’esperienza, lo ama quando è cattivo, è una fonte inesauribile di vita e di esperienze.
Pinocchio è puro, prova ed esperimenta su di sé le emozioni della vita, egli non sa, non ha corazze. In quella società c’erano regole ferree ed evidenti (scuola, gendarmi, tribunali) oggi sono più implicite, nascoste, profonde. Pinocchio ha rappresentato uno sforzo artigianale, industriale eccezionale, vale la pena di riferire qualche cifra. E’ l’opera italiana più costosa mai realizzata, la casa di produzione Melampo ha messo a disposizione 80 miliardi di vecchie lire.
I numeri: 16 mesi di pre e post produzione, 28 settimane di girato in esterni ed interni, 4000 comparse, 1000 costumi con 400 metri di stoffa, 20 costumi di Pinocchio. Cast tutto italiano e tutto proveniente dal teatro. Ricordiamo tra gli altri Carlo Giuffrè (Geppetto), Beppe Barra (Grillo parlante), i fichi d’India (il Gatto e la Volpe), Kim Rossi Stuart (Lucignolo). Girato nei teatri di posa di Papigno utilizzati per “La vita è bella” e nella Tenuta di Castelfalfi, i boschi di Manziana, il litorale di Furbara.
La scenografia straordinaria è del compianto Danilo Donati che ha inventato il paese dei Balocchi inspirandosi ai disegni dell’Italia umbertina. Il paese dei balocchi è immaginato come una serie di immense scatole di cioccolatini, caramelle e biscotti in carta stagnola a specchio su cui sono disegnati uomini e donne dell’Italia umbertina. Su tutto dominano le musiche del maestro Nicola Piovani.
Figlio del libro di Collodi, questo Pinocchio è un personaggio universale, la sua purezza diventerà saggezza, incarnazione di un socialismo cristiano che eleva ed isola il film nel panorama cinematografico: un atto di coraggio del grande erede di Chaplin.
FRANCESCO MARIOTTINI
 
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